Visualizzazione post con etichetta Mariano. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Mariano. Mostra tutti i post

mercoledì 16 ottobre 2013

17. LETTERA DI ANTONIO LOMBARDI A DON PAOLO AIELLO



Lettera inviata a Don Paolo Ajello per dirimere alcuni dubbi.

Catanzaro, 2 novembre 1945
Mio carissimo,
è impossibile che chi cerca la verità non la raggiunga. Se la cerca, vuol dire che l’ama, e se l’ama già la possiede in qualche modo. Ma la verità è Dio. Se togli Dio, io non vedo quale altra verità ti resti. Non mi pare che la materia possa essere verità per se stessa, verità che basti a se stessa. Del resto, se anche a te, da quel che tu stesso mi scrivi, pare che possa essere detto con ragione che l’esistenza della materia debba esser preceduta dall’esistenza di un essere che sia essenzialmente pensiero, come faresti poi ad essere materialista e d’altronde, se tu trovi difficoltà di ammettere l’unione dell’anima col corpo, perché, d’altra parte, la soluzione materialistica di quella difficoltà dovrebbe essere contro Dio? Tu puoi per tuo conto risolvere materialisticamente la questione, e credere nondimeno in un Dio creatore della materia. E quando poi avrai creduto in Dio, come forse credi, allora ti sarà facile intendere che la potenza di Dio è sempre superiore alla nostra possibilità di comprendere, e non ti lascerai fuorviare da nessuna difficoltà. E ti pare giusto che noi dobbiamo negare Dio per qualunque intoppo incontriamo nel nostro cammino? Ciò significherebbe che noi stessi ci reputiamo infallibili e divini, e che sia vero solo quello che ci par comprensibile, e falso tutto quello che noi non comprendiamo. Ma quante cose ci sono sembrate contraddittorie e poi abbiamo viste essere del tutto logiche e conseguenti? Noi non possiamo presumere di giudicare la verità che in un solo modo, vale a dire: siccome è ovvio che la nostra mente può sempre cadere in errore, così è evidente che essa non si può erigere a giudice supremo di verità ma deve credere in una verità suprema e al di sopra di lei.
     Passiamo ora alla difficoltà che mi proponi. La tua considerazione più generale è che “lo spirito deve avere in comune con il cervello qualche quid che lo imparenta (lo rende simile) a quest'ultimo”. Altrimenti, secondo te, “il contatto delle parti non si può spiegare”. Io ritengo che nessuna persona veramente saggia abbia mai potuto negare che tra lo spirito e il corpo vi debba essere una qualche somiglianza. Non solo nella natura corporea noi osserviamo che le cose non sono mai del tutto dissimili, ma dobbiamo convenire che anche tra una natura divina e quella del mondo sarebbe addirittura stolto non concepire una qualche somiglianza. Dio è un essere completo, infinito, che ha nella sua unità tutte le possibilità dell'essere; l'essere corporeo, invece, è finito, limitato, manchevole. Nondimeno l'uno e l'altro sono essere. Ed è appunto che Dio possiede nella sua natura la completezza dell'essere, che Egli può essere il Creatore di ogni ente.
     In quanto poi alla somiglianza, anch’essa necessaria, tra lo spirito e il corpo, ti ricorderò, giacché tu stesso ti richiami al mio libro, quello che io scrivevo nella Critica delle Metafisiche: “In ogni corpo noi apprendiamo una qualche somiglianza con lo spirito, poiché, quando diciamo spirito, intendiamo questo almeno: che esso è, e che quindi si oppone come il corpo a ciò che è (pag. 71). Infatti, se lo spirito, nella ipotesi, è qualche cosa, deve pure affermarsi in quello che è, nel suo essere, nella sua sostanza, nella sua potenza, nella sua attività, e in questa sua affermazione deve certo assomigliarsi al corpo, che anch'esso si afferma in ciò che è e in ciò che possiede. Se in qualche luogo io faccio valere la dissomiglianza dello spirito dalla materia, ciò viene fatto contro coloro che dello spirito e della materia vorrebbero che si facesse addirittura una medesima cosa; come chi volesse dire che il cane e il gatto, solo perché sono simili per essere entrambi animali o mammiferi, fanno anche una medesima specie: il che è falso. Tu vedi dunque l'armonia mirabile dell'universo, dove nell'infinita verità delle cose, è nondimeno una fondamentale somiglianza, derivata da quel primo principio che è suprema unità di tutte le cose. Non v’ha forse maggiore inganno nella filosofia che voler separato del tutto il mondo corporeo da quello spirituale, la creatura dal suo creatore, relegando in un'assoluta estraneità la fonte stessa di ogni vita e di ogni esistenza. Ricorderai le parole dell'Apostolo, che in Dio noi viviamo, ci muoviamo e siamo. I grandi mistici della Chiesa, che sentirono il legame d'amore che corre tra loro e Dio, compresero, e sperimentarono anzi, quest'armonia dell'esistenza.
     In riguardo all'essere, l’armonia consiste in quella gradazione che da essere infinito completo, pieno, discende per le creature spirituali sino all'essere infimo della materia. Donde avviene anche che le creature che hanno più di essere, tanto maggiormente possono operare sulle altre. Soprattutto Dio, che possiede la pienezza dell'essere, può operare universalmente e direttamente su tutte le creature.
     Da queste considerazioni generali possiamo ora passare a quelle più particolari. Tu scrivi: “Io vorrei che mi spiegaste come due nature o enti così eterogenei quali l'intelletto o spirito e la materia possano essere uniti e venire a contatto”. E tu intendi evidentemente l'unione dell'anima spirituale con il corpo nell'umana natura. Tu sai che nella seconda metà del secolo scorso, in connessione con la dottrina dell’evoluzionismo, fu molto dibattuta la questione se la vita fosse sorta per l'evoluzione della materia, ovvero fosse una creazione speciale nella natura. Ora non c'è proprio da adombrarsi, anche se alcuni spiritualisti non abbiano saputo riguardare la cosa imparzialmente, nell'ipotesi che fa sorgere la vita dalla materia. Gli scrittori della chiesa hanno sempre ritenuto “come possibile il nascere di organismi reputati infimi e imperfetti dagli elementi della natura” (Critica delle metafisiche, 334). La difficoltà esiste esclusivamente nel campo scientifico, in quanto non si è potuto ancora accertare il sorgere della vita dalla materia. Dopo i magnifici esperimenti di Pasteur, non si è potuto ancora sperimentalmente contraddire a quella specie di legge, che è il vivente nascere dal vivente. Se da qualunque materia si possa sviluppare la vita, ignoro se sia vero; però è certo in ogni caso che la vita e la materia si possano perfettamente congiungere.
     Come vedi, la vita non inerisce solo a Dio, né solo alle creature spirituali, ma inerisce anche alla materia: la vita con le sue operazioni non può certo esistere senza un oggetto cui inerisca. Ma questo soggetto può ben essere un ente materiale. E qui noi possiamo contemplare il caso che ci riguarda da vicino. Nell'ipotesi di una sostanza spirituale, cui naturalmente inerisce la vita, che difficoltà c’è ad ammettere che, in determinate condizioni, quella sostanza possa, per mezzo del suo principio vitale, congiungersi alla materia? Nella Critica scrivevo: “Coloro a cui parve impossibile che l'anima potesse essere la forma sostanziale del corpo, non considerarono che ogni spirito è anima, è innanzitutto vita” (pag.208). È in tal modo che noi diciamo che l'anima intellettuale si unisce alla materia dell'uomo e lo informa; potendo tuttavia sopravvivere alla dissoluzione del corpo, in quanto ha una natura propria, se la vita si può partecipare alla materia, perché dunque una sostanza spirituale, e però vivente, non potrebbe essere principio di vita nella materia? E credi tu che nell'ipotesi materialistica si possa veramente spiegare l'intelletto e la vita come una estrinsecazione del cervello o della materia? Tutta la materia è essenzialmente vivente, e allora la vita non viene dalla materia, perché è stata primieramente insieme con essa; ovvero non tutta la materia è essenzialmente vivente, e neanche allora la vita può sorgere dalla materia in quanto materia, ma, in quanto nella materia, o in alcune materie, v’è un principio e una disposizione alla vita. E a tal proposito scrivevo: “E’ necessario infatti che vi siano degli agenti o principi attivi, senza di che la vita rimarrebbe in eterno allo stato virtuale; d'altra parte è necessaria una disposizione o potenzialità della materia, senza di che i principi attivi non potrebbero nulla operare” (ibid. 334).
     E in quanto alla conoscenza dell'intelletto in particolare, essa non è che quale estrinsecazione del cervello; non si può spiegare neppure quale conoscenza sensitiva. “Le varie teorie associazionistiche”, scrivevo ancora nella Critica, “fisiologiche e fisiopsichiche, non possono mai costruire sui sensi la coscienza intellettuale, poiché tutte le impressioni, le tracce, le influenze, le relazioni e le correnti che le sensazioni determinano sui centri nervosi, sulle fibre o sulle cellule non sempre individuate nella materia, non valgono mai a suscitare quel tipo universale delle forme, che non è sensibile, ma intellettuale ed astratto (342)”.
     A me pare che definire l'intelletto una estrinsecazione del cervello, o la vita una estrinsecazione della materia, sia piuttosto un voler chiudere gli occhi sulle difficoltà, che un superarle. Il pensiero e la vita, le stesse elementari sensazioni, anche se noi le diciamo una estrinsecazione della materia, restano però di fatto una cosa ben diversa dalla materia. Il sentire e il pensare sono forse materia? Anche se congiunti in qualche modo dalla materia? La sensazione e il pensiero sono cose talmente nuove rispetto alla materia e alle sue modificazioni, che essi non si possono spiegare se non con una potenza primigenia, alla quale si riferiscano in egual modo e l'esistenza della materia e quella della vita che alla materia è congiunta. La vita può sì essere congiunta alla materia e in tal modo può dirsi che la materia può avere in sé la vita; ma la possiede, senza che però valga a giustificarla a quel modo che noi possediamo il nostro corpo e, nondimeno non da noi l'abbiamo fatto, adesso ci sta innanzi quasi a noi straniero.
     D'altronde, tali considerazioni sull'impossibilità della dottrina materialistica di spiegare questo ed altro, non vengono soltanto da noi, se proprio colui che, nella seconda metà del secolo scorso, parve maggiormente dominare il campo delle scienze positive ed evoluzionistiche, vale a dire lo Spencer, credette di cominciare la sua opera con una parte dedicata a L'inconoscibile, dove appunto viene dimostrato che il materialismo non può risolvere i massimi problemi della filosofia. Questa parte dello Spencer è ancora assai interessante, ed è, si può dire, la sola cosa di lui che sia rimasta viva. Il mistero della vita e del pensiero non si può risolvere che in Dio, il quale, essendo per essenza vita e pensiero, ha potuto comunicare alle cose l'essere e la vita e il pensiero. All'ipotesi che affacci della possibilità che lo spirito sia un’estrinsecazione del cervello, tu aggiungi: “altrimenti come si spiegherebbero gli effetti che, per esempio, la tiroidina ha sul cervello di potenziarne o meno le sue facoltà”?
     Per conto mio, ritengo che nulla è nell'intelletto che prima non sia nei sensi, e che pertanto l'intelletto non possa giudicare se non in riferimento alla conoscenza sensibile, ai dati che i sensi gli offrono. Dal che si vede che la capacità di comprendere non dipende solo dalla potenza in sé dell’intelletto, ma anche dalla materia del giudizio secondo che sia poco o molta, buona o cattiva. Così il medesimo ingegno, incapace a risolvere un determinato problema in base a determinati elementi, saprà poi  risolverlo agevolmente ove abbia alcuni elementi di giudizio, o siano rimossi, fra i primi elementi, quelli che eventualmente fossero stati cagione di errore e falsità nel giudizio. In tal modo tutto ciò che può mutare la conoscenza sensitiva, mutando la forma e la vivacità delle immagini e delle sensazioni, può mutare anche la conoscenza intellettuale, sì che il giudizio dell'intelletto può venir falsato rispetto alla verità, che le cose erano nate ad avere in ordine all'intelletto.
     Non aggiungo altro, che già la lettera è troppo lunga. Ma vorrei che tu ti persuadessi che tutte le ragioni dell'uomo sono deboli, e che questa è la principale ragione per cui egli debba credere in Dio. Credi tu di essere sicuro delle tue ragioni? La filosofia non ha ancora potuto progredire rispetto alle parole di Socrate: “Questo solo io so, di nulla sapere", e in questo sapere c'è Dio. Ti abbraccio.

venerdì 3 maggio 2013

22. ANTONIO LOMBARDI, UN FILOSOFO SANTO


di Luigi Mariano Guzzo
Luigi Mariano Guzzo con Sebastian Ciancio e il Cardinale Ravasi

E poi ci sono loro: i santi della porta accanto. La città di Catanzaro ha le sue aureole conquistate sul terreno di una santità incarnata tra le gioie e le fatiche, le attese e le delusioni, le speranze e le angosce della vita di tutti i giorni. “La parola non basta più: servono l’immagine, la rappresentazione, il frutto maturo di un’esperienza visiva, di un contatto concreto con la Persona viva del Signore”, aveva detto in Cattedrale l’arcivescovo metropolita di Catanzaro–Squillace Vincenzo Bertolone nel giorno del suo insediamento, il 29 maggio 2011, impegnandosi a “dare un forte impulso alle cause di beatificazione e canonizzazione”.  Tra le tante - Cassiodoro, Concetta Lombardo, Maria Antonia Samà, Nuccia Tolomeo, padre Francesco Caruso - spicca quella del filosofo Antonio Lombardi, di cui il 15 dicembre ricorre l’anniversario della sua nascita.
Ricordare la figura di Lombardi significa fare memoria di un’avventura terrena impastata di amore e santità, cultura e fede, storia e devozione. Un’avventura che, per l’appunto, comincia proprio tra le caratteristiche rughe del centro storico cittadino, in un elegante palazzo di Largo Sant’Angelo nel 1898. Antonio è il rampollo di una importante famiglia della media borghesia catanzarese. 
Casa Lombardi a Catanzaro: Dall'arco l'entrata; la casa è al primo piano; il primo balcone è quello dello studio dove il Servo di Dio Antonio Lombardi muore
Il padre Nicola è un prestigioso avvocato e un impegnato politico socialista che siederà per quattro volte in parlamento (nel 1913, nel 1919, nel 1921 e nel 1924). Nonostante la mamma Domenica sia cattolica, Antonio sente molto l’influenza paterna e cresce alienato dall’esperienza di fede, pur avendo ricevuto il sacramento del battesimo. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Roma decide di affiancare il padre nell’attività forense. Ma è proprio in questo frangente che due eventi sconvolgono l’animo del promettente avvocato e gli aprono la strada della conversione: il primo, una grave malattia cardiaca che lo porta ad una lunga convalescenza; il secondo, la morte della giovane Teresa Mussari, una vicina di casa per la quale Antonio prova un ricambiato sentimento di affetto. La finitudine della condizione umana, quindi, conduce Lombardi ad abbandonare la pratica legale e ad interrogarsi sulle domande di senso dell’esistenza. Un moto interiore insomma che lo incammina, da un lato, verso l’adesione convinta al vangelo di Cristo e l’impegno coerente nella comunità civile, dall’altro, verso l’approfondimento metodico e appassionato della filosofia.
A parte i numerosi scritti pubblicati su L’Osservatore Romano e su altre riviste specialistiche e giornali locali, l’opera prima che fa conoscere Lombardi e lo porta all’attenzione del panorama filosofico italiano è “Critica delle metafisiche” edita da Bardi di Roma nel 1940 che segna certamente il punto più alto della sua speculazione tomistica (seguiranno poi “Psicologia dell’esistenzialismo” nel 1943 e “La Filosofia di Benedetto Croce” nel 1946). Egli confuta analiticamente le teorie di Bruno, Spinoza, Kant, Hegel, Nagarjuna, Asanka, Cankara, Tagore, Lao-Tse, Chuang-Tse, Chu-Hi e si muove con destrezza tra l’Occidentale e l’Oriente, ponendo come architrave del proprio impianto filosofico il pensiero cristiano. Sul finire degli anni ‘40 scrive anche un’opera rimasta poi inedita per la morte che lo coglie il 6 agosto del 1950, a soli cinquantadue anni d’età.“Da Platone a Stalin”, il titolo del saggio che fa cogliere a pieno l’attualità del pensiero anche politico di Lombardi riguardo ai temi della giustizia sociale su scala planetaria e quindi, diremmo oggi, della globalizzazione. E tra gli inediti ancora non si può non ricordare il testo di “Filosofia delle rovine” nel quale egli in una sorta di intimo diario intende descrivere l’orrore dei bombardamenti che colpirono la città di Catanzaro, ma pure il sentimento di speranza che anima il cuore dell’uomo di fronte alle atrocità della guerra.
Ingresso di Fondazione Betania Onlus ex Opera pia in Charitate Christi
Sul campo dell’impegno sociale e civile veste i panni, su espressa richiesta dell’arcivescovo Fiorentini, di presidente diocesano dell’Unione Uomini di Azione Cattolica e di commissario dell’Orfanotrofio “Giuseppe Rossi”. In più partecipa alla Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli e si impegna nella costituzione dell’Opera Pia “In Charitate Christi” che oggi è conosciuta con il nome di Fondazione Betania. Ed è pure sul piano educativo che si distingue il Lombardi con una serie di conferenze di “cultura cristiana” e con la vicinanza reale agli studenti cattolici del gruppo Fuci (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) che in quegli anni muove i primi passi: con questi ragazzi nel 1949 darà vita, nella sua abitazione, al circolo culturale “Studium  per “contribuire al progresso insieme spirituale e materiale della nostra regione”, come si legge nella lettera di presentazione dell’istituto. La porta di casa Lombardi è sempre aperta nell’accogliere i più poveri e meno abbienti della città: un pasto caldo, una parola di conforto, un pizzico di attenzione per chi dalla società è rinnegato e scartato. Testimonianze raccontano del filosofo, novello Poverello d’Assisi, che spesso torna a casa senza scarpe perché donate a qualche mendicante incontrato lungo Corso Mazzini. Nel 1944 su L’Idea Cristiana lancia un grande “Appello alla carità” nel quale afferma che “chiunque deve porgere l’aiuto fraterno a chi è più povero di lui”.
Ma è soprattutto un uomo di preghiera. In effetti c’è nell’esistenza terrena di Antonio Lombardi, costellata da rapporti d’amicizia ed epistolari con frate Giuseppe di Maggio, don Francesco Mottola, Jacques Maritain, padre Agostino Gemelli, Giorgio La Pira, Vito Giuseppe Galati, una continua tensione tra preghiera, studio e impegno sociale. La vita contemplativa di Lombardi è provata da un forte esercizio di ascesi interiore che lo conduce quasi ad uno svuotamento di sé per far posto nel suo cuore ad un amore più grande che lo assorbisce completamente. E basta leggere le sue agende personali per capire la scelta di campo che connota la sua esperienza spirituale: “Non volere piacere né a sé né agli altri, e solo a Dio”, scrive nel dicembre del 1936.
Padre Pasquale Pitari, promotore di giustizia del Tribunale ecclesiastico, che sta lavorando per la causa di beatificazione aperta nel 1999 e ormai in via di definizione, spiega: “Ciò che porta alla santità il Lombardi non è tanto l’ingente mole dei suoi scritti, il suo stile chiaro e lucido o le sue idee profonde, ma l’animo con cui ha espresso il suo impegno. Egli operava e scriveva, pregando e amando, per il trionfo di Dio nella vita e nella storia. Il suo animo era ricco di zelo apostolico: era un vero apologeta; ossia voleva dimostrare con la ragione che solo il cristianesimo da un’autentica risposta alle varie esigenze dell’uomo e del pensiero”. 
“In Dio è la Verità - continua padre Pitari - e nel Vangelo i principi del vivere civile. Confrontando analiticamente le varie scuole filosofiche occidentali e orientali con il cristianesimo, il Lombardi ha tentato, notandone le convergenze e le divergenze, di fare emergere la bellezza e la profondità del pensiero cristiano rispetto a tutte le altre filosofie. Nel suo cuore c’era un animo essenzialmente apostolico: voleva portare tutti a Dio con la preghiera, avvalorata dalla forza del pensiero speculativo. Fu un impegno duro condotto con umiltà e semplicità di cuore, fino alla morte”.
La santità di Antonio Lombardi è insomma la proposta concreta di un filosofo della nostra terra che ha vergato con la sua esistenza una pagina di Vangelo. In città ancora oggi le spoglie mortali nella Cattedrale, una lapide e una stele a Largo Sant’Angelo, la biblioteca della Curia arcivescovile, una via di un’arteria principale, parlano di lui: un uomo, semplicemente un uomo, che si è fatto Servo di Dio per amore del prossimo. A gloria, onore, lustro e vanto di Catanzaro.



                                                          Articolo di Padre Pasquale Pitari su "Comunità Nuova"

Perché Antonio Lombardi santo?

La stele con il volto di Lombardi rivolto al cielo
E’ legittimo chiedersi: perché Antonio Lombardi santo?
Tento di rispondere, partendo dalla vita. Egli, avvocato-filosofo catanzarese, nacque il 15 dicembre 1898 e morì il 6 agosto 1950. La sua casa era a Largo Sant’Angelo, vicino la chiesa di san Giovanni Battista. Fino al 1927 visse lontano dalla fede e dalla chiesa. Dopo l’esperienza dolorosa di una sua malattia cardiaca e la morte nel 1929 della ragazza che amava, Teresa Mussari, Antonio incontrò Dio e riscoprì la gioia e la ricchezza della fede. Fece, quindi, della fede il motivo principe della sua esistenza.  Avendo cercato e trovato la verità in Dio, Lo servì impegnandosi nella cultura e a favore dei poveri. Nelle azioni e nelle opere fu, così, un profeta dell’amore di Dio. Devotissimo del Cuore di Gesù, della Madonna, di san Giuseppe, partecipava giornalmente alla santa Messa nella chiesa del Monte o nella chiesetta di sant’Anna e recitava il rosario. Curava la sua vita spirituale, sotto la guida di Padre Francesco Caruso, facendo quotidianamente propositi di santità per piacere a Dio, evitando ogni minimo peccato veniale e impegnandosi a servizio della Chiesa, degli uomini e soprattutto dei poveri. Per la sua altissima testimonianza di fede il 1 dicembre 1941 Mons. Fiorentini lo nominò Presidente diocesano dell'Unione Uomini di Azione Cattolica; nel 1944 fu presidente dell’Istituto “Rossi”, che raccoglieva bimbi orfani e indigenti, segnati dalla guerra, dalla povertà e dalle sofferenze più diverse. Come membro della Conferenza di san Vincenzo, ogni mattina faceva, in modo discreto, la spesa per alcune famiglie povere. Una volta ritornò a casa scalzo, avendo dato le sue scarpe a un povero. Ricorda la sorella Adelaide: “Un giorno di pomeriggio, durante una nostra passeggiata verso Siano, vedemmo un giovane giornalaio che stava per buttarsi dal ponte. Nino con buone maniere e buone parole lo convinse a desistere dall’idea e lo fece venire con noi”. Collaborò con Don Giovanni Apa e col dottore Raffaele Gentile nel dare risposta ai poveri del dopo guerra con l’avvio dell’Opera Pia “In charitate Christi”, e istituì anche un ricovero per ciechi. Era così appassionato per gli ultimi che il 6 dicembre 1936 scrisse nella sua Agenda questo proposito: “Avvicinare i poveri più abietti e quelli la cui vicinanza ci umilia maggiormente agli occhi del mondo: stravaganti, pazzi, ecc; poiché con la pazienza e la carità, che si esercita verso di questi, il Sacro Cuore ci vuole affidare il dono della perfezione”.

Carità nell’impegno culturale

Questo suo “impegno caritativo” raggiunse l’apice nell’impegno culturale. Il primo postulatore, Don Armando Matteo, giustamente scrisse un articolo su Lombardi, dandogli come titolo: “La carità della sapienza”.
Il 1940 diede alle stampe la sua opera più importante: Critica delle Metafisiche. A cui seguì la pubblicazione di altre opere: La filosofia di Benedetto Croce, La psicologia dell’esistenzialismo e Atteggiamenti del pensiero italiano contemporaneo. Il Lombardi scrisse altre opere che furono inedite: Da Platone a Stalin, La filosofia indiana, La filosofia delle rovine, e un’opera di 550 pagine dattiloscritte sul materialismo, l’evoluzionismo e le religioni. Tantissimi, poi, furono gli articoli pubblicati sull’Osservatore Romano, su L’idea cristiana  e altre riviste di filosofia. L’impegno culturale lo portò a collaborare  dal 1942 con la FUCI. Nel 1949 avviò nella sua stessa abitazione il circolo "Studium" per la formazione culturale dei giovani.
Ciò che porta alla santità il Lombardi non è tanto l’ingente mole dei suoi scritti, il suo stile chiaro e lucido o le sue idee profonde, ma l’animo con cui ha espresso il suo impegno. Egli operava e scriveva, pregando e amando, per il trionfo di Dio nella vita e nella storia. Il suo animo era ricco di zelo apostolico: era un vero apologeta; ossia voleva dimostrare con la ragione che solo il cristianesimo da una autentica risposta alle varie esigenze dell’uomo e del pensiero. In Dio è la Verità e nel Vangelo i principi del vivere civile. Confrontando analiticamente le varie scuole filosofiche occidentali e orientali con il cristianesimo, il Lombardi ha tentato, notandone le convergenze e le divergenze, di fare emergere la bellezza e la profondità del pensiero cristiano rispetto a tutte le altre filosofie. Nel suo cuore c’era un animo essenzialmente  apostolico: voleva portare tutti a Dio con la preghiera, avvalorata dalla forza del pensiero speculativo. Fu un impegno duro condotto con umiltà e semplicità di cuore, fino alla morte.

Degno difensore della Chiesa

Così scrisse nella sua Agenda il 19 marzo 1938:
“San Giuseppe, metto questo mio lavoro, e in ispecie il capitolo contro Hegel, sotto la vostra speciale protezione, al fine che io possa portarlo a buon compimento. Essendo voi il patrono della Chiesa universale, fate che questo lavoro sia per lo scritto e per la dottrina degno difensore della chiesa. Ottenetemi uno spirito di carità nell'eseguirlo, una penetrazione perfetta e luminosa, una parola facile e senza asprezze, eloquente senza retorica. Ottenetemi uno spirito di pazienza e di perseveranza. Per il nostro Signore Gesù Cristo”.
Quando le fibrillazioni del cuore si fecero sentire in modo preoccupante, alcuni mesi prima della morte, scrisse nella sua Agenda il 17 dicembre 1949: “Rivolgere il pensiero a Dio, che solo da un senso alla vita, a qualunque vita, a quella dell'ammalato come a quella del sano. Pensare che in ogni cosa è assai probabile che io abbia qualche anno sopportabile di vita (se non avrò timore), e che in questo tempo potrò riordinare le mie cose, le mie carte e l'anima mia. Animo, dunque. Canta, diceva Sant'Agostino”.
Dio era diventato l’unica ragione della sua vita. Aveva scritto nell’Agenda il 7 maggio 1932: “Io non dovrei per nessuna ragione irritarmi per alcun interesse materiale… giacché io debbo, in qualche modo, reputarmi al di fuori della vita”.
Fare la volontà di Dio era il suo impegno principe.  Tentò di essere sempre fedele a questa sua promessa: “Io protesto, o mio Dio, di voler essere sempre sottomesso alla tua dipendenza”. Così morì abbandonato nelle mani di Dio.
Nell’ultima lettera al suo amico fra Giuseppe di Maggio, una settimana prima di morire, scrisse: “Sono in uno stato di prostrazione e di sofferenza estrema. Io mi conforto nella speranza che Iddio mi perdoni dei peccati, ed entri nella pace e nella dolcezza del paradiso. Pure sono rassegnato alla volontà di Dio, anche se debbo ancora soffrire”. Morì soffrendo particolarmente l’arsura della sete, come Gesù sulla croce, mentre scherzosamente diceva: “In paradiso troverò finalmente una fontana per dissetarmi”.
Vito Galati, in L’Osservatore romano, n.51, 3 marzo 1962, supplemento settimanale, così ha ricordato il suo amico: “Antonio Lombardi era uno spirito tutto concentrato nella contemplazione di Dio […] I diari della sua vita, che abbiamo potuto consultare presso la famiglia, dischiudono orizzonti mistici, che fanno meditare su un’esistenza di rinunzia e di purificazione interiore, degna di un cristiano che ascende, senza soste, verso la pienezza dell’amore”.
Questi sono i motivi perché la Chiesa può elevare Antonio Lombardi verso gli onori degli altari e presentarlo ai fedeli come un modello di fede vissuta e testimoniata nella carità della sapienza.
La causa di beatificazione, iniziata il 1999,  sarà ultimata il 2013.