23 dicembre 1956
Antonio indica alla madre il cielo, la meta dopo la morte |
“Mi ricordo di due che attesero la
morte e furono due morti esemplari: di mio fratello e mio padre.
Da tempo, ormai sofferente, vedo il
primo nel suo letto, che fu trasportato di stanza in stanza, perché egli
cercava refrigerio, come era possibile, in quella afosa stagione. Gli era
impossibile, dato lo scompenso, di muoversi e faticoso anche il sollevare le braccia.
Grondava sudore, supino, con la testa rialzata sui cuscini, senza toccare cibo.
Desiderò, sino all'ultimo, acqua, che gli veniva concessa appena. Eppure apriva
gli occhi e guardava noi intorno e le cose che gli erano state care e
raccoglieva anche le voci che gli venivano da fuori, dal piccolo spiazzo
intorno, che erano voci conosciute e amiche.
Mai un lamento, le braccia conserte
sul petto. Ogni tanto, con uno sforzo non lieve, il segno della croce con uno
sguardo rassegnato. Disse, tre ore prima di morire (che è avvenuta il 6 agosto
1950 alle 12:00 circa): “Ancora tre-quattro ore di battaglia”. Quale battaglia
era stata, anche incompresa, per molto tempo e specie per due mesi! Morì da
credente, da santo, ed ebbe parole buone per tutti, quando profferì parole.
Disse anche a una mia sorella che
era sicuro del paradiso, che ci fosse cioè.
Altra morte, mio padre, ma
esemplare e forse di più, se è possibile.
Per 17 mesi, nella casa grande,
piena di memorie, nella casa dove per 46 anni era vissuto, eravamo cresciuti, e
dove tutto era caro, si era girato raccogliendo le più lievi memorie del figlio
e della compagna sua, morta il 31 agosto dello stesso anno in cui morì Nino,
dopo cioè 25 giorni.
Da Roma dove era venuto ad
assistere una sua figlia operata, volle partire ai primi di gennaio del 1952.
Si sentiva morire, e lo sapeva. Invano cercai di trattenerlo. Era triste, ma
sereno, e volle partire e morire nella sua casa e da lì mi scrisse che si
sentiva un po' meglio. E seppi che si era messo al suo tavolo di lavoro (e
quale lavoro per sessant'anni!). Aveva riordinato tutte le sue carte, aveva
scritto ai clienti, restituendo le somme avute come anticipo, aveva voluto
vedere qualcuno e lo aveva abbracciato, aveva scritto ai parenti ecc. E poi
morì quasi di colpo, la mattina del 27 gennaio 1952. E tutto fu trovato a
posto. Egli era miscredente per convinzione e per studi. Morì serenamente come
l'altro, che era un santo. Aveva cercato suo figlio sulla via della fede, anche
accostandosi a persone religiose, accedendo nelle chiese. Ma io so che lo
faceva per lui e me lo aveva detto. Mio padre è morto come era vissuto.
Desiderava morire anche così, di colpo. Mio fratello e mio padre si
rassomigliano molto.
Dal Diario di Vincenzo
Lombardi, fratello di Nino,
che ora appartiene a
Vincenzo iunior, figlio di Micuccio.
Luglio 1935
Nino a Roma da due
mesi. È venuto per le sue belle e grandi cose. È ripartito dopo essere stato
visitato dai professori Pantano e Carducci.
“I nostri di
passarono”
“Che cos'importa
vivere 10 anni di più?”
“Tieni te la lascio
(la sua fotografia)”
Nino, fratello mio
santo!
È ripartito il 17
luglio.
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