Roma, 27 novembre 1953
Carissimo Vito, mentre ti ringrazio
sempre di quanto fai e farai, ti mando alcune notizie sommarie sulla vita e
sull'attività di mio fratello.
Poiché il tempo stringe, detto le
poche cose che seguono, affidandomi alla memoria e all'affetto. Spero che, dopo
espletato questo mio dovere, in collaborazione dei buoni amici, tra i quali tra
i primi sei tu, io possa raccogliere alcuni scritti che mi sembrano meritevoli
di attenzione ed allora, con più calma, spero di poter dire io stesso di Lui,
nella biografia.
Tieni presente che anche il mio
compito non è facile, sia perché io ho vissuto sempre a Roma dalla mia
giovinezza, mentre Nino viveva a Catanzaro, sia perché egli, dopo la crisi
spirituale che lo colse verso il trentesimo anno, divenne ancora meno
comunicativo delle sue cose intime e per il suo apostolato di carità mascherò,
a fin di bene, da vero cristiano, le sue espressioni esteriori. Leggendo, dopo
la sua morte e avendone avuto conoscenza indiretta, mi è dato oggi comprendere
ciò che non era possibile mentre egli viveva. Così anche per quanto riguarda i
rapporti con la sua famiglia e credo anche con gli amici.
In ogni modo eccoti alcune notizie
e ricordi.
Nacque a Catanzaro nel 1898 e ivi
morì il 6 agosto 1950. Compì gli studi classici a Catanzaro e a Roma si laureò
in legge. Tuttavia fin dall'infanzia si dedicò agli studi di letteratura e
filosofia. Ebbe ingegno spiccatamente matematico (si ricorda qualcuno
dell'imbarazzo in cui poneva i suoi professori proponendo soluzioni diverse ed
io ricordo che, pur non essendo uno studente studioso delle materie di scuola,
gli bastava aprire un qualsiasi libro di matematica, nel mezzo, per coordinare
immediatamente il non lato).
Mentre non dava alcuna importanza
agli studi scolastici, che superava tuttavia facilmente, fin dall'infanzia fu
lettore assiduo di qualunque libro nella ricca biblioteca paterna. Credo che il
senso vivissimo che ebbe della natura, il suo temperamento spiccatamente
romantico, il mistero che egli sentì in maniera quasi angosciosa, la volontà di
chiarire il proprio essere e di affermarsi, prima che lo portassero alla fede,
lo indirizzarono allo studio di Leopardi, che conosceva quasi a memoria anche
negli scritti minori, e poi di Nietsche, e poi di Sthendal, di Goethe, della Filosofia
indiana ecc.
Del suo temperamento romantico, che
poi dominò, come appare dalle sue opere speculative, che pur mostrano evidenti
il pathos di quella tendenza e dell'influenza di quegli studi, vi è traccia
profonda in ogni suo scritto ed in riferimento ad essi può disvelarsi
l'originalità del suo pensiero (chiaro questo processo mi pare si riscontri ne
“La filosofia di Croce”, ne “La psicologia dell'esistenzialismo”, ne
“La psicologia dell'Asia”, in quasi
tutti gli articoli sull'Osservatore
Romano e in moltissimi scritti inediti.
Per tornare alla sua vita (e tu mi
scuserai se sono disordinato nel dettare), ti dirò che egli fu sempre
eccezionalmente buono, quasi portato istintivamente alla perfezione. Anche se
ebbe quell'atteggiamento naturale dei ragazzi e dei giovanissimi che io non
saprei definire meglio che col dirlo “guappista”, specie nei rapporti con i
suoi coetanei, non ricordo di lui, e nessuno in famiglia ricorda, di averlo
sentito mai pronunciare una parola o una frase men che compiuta e tutti ricordano
invece che anche nelle sue azioni era prudente, correttissimo, pudicissimo.
Aveva talvolta atteggiamenti che a noi sembravano stranissimi e per farti comprendere
ti dirò che egli, in piena estate, volle dormire qualche volta con coperte
pesanti. Solo dopo la sua morte, da un suo appunto, appresi che egli ciò
facesse pensando ad altri che soffrivano. Era un ragazzo ed era già un
miscredente!
Egli visse così la sua prima
giovinezza, tra gli studi che ti dissi, ma non trascurando altri e di nessun
genere, cercando “di porsi al di là del bene e del male”. Tentava così di
superare il disagio intimo e credette di superarlo infine con l'adesione alla
filosofia buddista (inizio dei suoi studi sulla filosofia orientale, che
divennero poi la materia che più ampiamente approfondì e fu originalissimo,
come è evidente da ciò che ha pubblicato, ma soprattutto da ciò che è inedito)
e ne troverai una prova in quel sonetto giovanile “O notte di settembre” ecc.
in cui è evidente, nella frase, l'influsso leopardiano e il desiderio della
perfezione e dell'infinito; mi sembra molto bello e significativo quel verso:
“prendimi, o vita, a cieli alti e più
puri”.
Andò a Roma studente di legge,
frequentò poco l’università, pur dando gli esami, ma molto le biblioteche. Visse
anche allora la sua vita solitaria, benché, come tu anche sai, era
socievolissimo, specialmente con la gente del popolo e con i bambini coi quali,
anche allora, si tratteneva lungamente indugiandosi nei loro giochi.
Tornò a Catanzaro. Tentò invano
nello studio di mio padre di indirizzarsi all'avvocatura, almeno come attività
collaterale e proficua economicamente, ma tale attività, certo in uno stato di
sofferenza nel tentativo di giungere all'indipendenza economica, si limitò a
molte memorie difensive dinanzi alla Sezione d'accusa in gravi processi. Visse
ancora così, tra i suoi studi, con i suoi pochi amici, studiando e facendo
lunghe passeggiate. Malgrado la posizione sociale di mio padre, visse ignorato.
Si dedicò fin da allora alle cose di famiglia, affiancando mio padre,
amorevolmente, per risolvere quasi quotidianamente le questioni di ordine
finanziario, che furono durante il ventennio molto pesanti: mio padre usciva
dal sottosegretariato dei lavori pubblici con lire 120.000 di debito, avendo
rinunziato alla sua professione durante il mandato; poi la sua attività, dato
il suo atteggiamento, diminuì fortemente, ecc. Tu troverai in quel suo diario
accenni e proponimenti di volersi interessare delle questioni pratiche con
assoluto distacco. Questi miei accenni servono solo a farti comprendere il suo
stato d'animo e la sua perfezione.
Venne la grande crisi. Aveva 25 o
26 anni, non ricordo. Forte fisicamente, [...]
amò molto, ma nel suo modo estremamente romantico cui contrapponeva per volontà
(data la sua concezione dionisiaca della vita) l'apparenza del distacco e della
superiorità con le creature che conobbe. Troverai qualche riferimento di questo
stato d'animo in qualche bozzetto lirico e più ancora se penserai al Faust e a
Margherita. Atteggiamenti di animo e di pensiero.
Si ammalò gravemente (forse da
allora rimonta il difetto cardiaco che poi lo condusse alla morte) e seppe di
una giovinetta che abitava in una casa vicina, le finestre della quale erano
dirimpetto alle nostre, dalla parte del giardino, che seguiva amorosamente il
corso della sua malattia, con grande pietà. Egli non si era mai accorto di lei,
prima.
Entrò in convalescenza, guarì. Non
so come fu, perché dalle notizie che si hanno non appare e qualche suo appunto
a me lasciato io dovetti distruggere perché così volle tassativamente; certo si
stabilì una relazione spirituale, più ché un'amicizia amorosa. Fu breve: la
ragazza (Teresa Mussari), religiosissima, si ammalò di petto. Comincia indubbiamente per mio
fratello, dinanzi a questo fatto doloroso, il travaglio ultimo, che doveva
risolvere il problema della sua coscienza, del suo pensiero e della sua stessa
esistenza.
Le fu vicino per amore e per pietà; la seguì in tutta la sua
sofferenza, dai sanatori a casa, finché ella morì: lasciò a lui il libro delle
preghiere e la corona, coi quali pregò egli poi sempre.
Questa fu l’occasione e la luce si
fece nel suo animo per sempre. Sottopose la sua vita al controllo più rigoroso,
come tu vedi anche dal diario, che è solo frammentario. Continuò i suoi studi
ma con un nuovo indirizzo, e solo a fine di apostolato. Ogni giorno fu in
chiesa, e la mattina per la santa comunione. Si avvicinò, con altro animo, ai
poveri, ai malati, ai deficienti. Come tu rileverai dagli appunti,
volle soprattutto essere umile, vincendo quello che egli credeva il suo maggior
nemico, l'orgoglio.
Così
pubblica La critica delle metafisiche,
i primi articoli sull'Osservatore Romano,
e comincia la sua vita di relazione, venendo a Roma per pochi giorni, una o due
volte l'anno. Così divenne intimo di Anile, di Tucci, di Tilgher, di Ottaviano e
di altri. Tilgher, che più di ogni altro forse lo stimò, aveva respinto un
capitolo della metafisica, come cosa che non poteva riguardarlo: Nino, per il
suo scopo e la sua attività di apostolato, gli rimandò lo scritto e lo pregò di
leggere. Il miscredente si piegò alla forza del raziocinio, riconobbe il
dialettico poderoso ed è da credere che se Tilgher rivelò infine
quell'atteggiamento di profonda religiosità ciò lo si deve a mio fratello. Egli
cercava di accostare tutti coloro che erano lontani dalla fede servendosi di
diversi mezzi, fossero umili oppure uomini di cultura. Così come andava di casa
in casa per sanare i dissidi familiari, così tentava di avvicinarsi a coloro
con i quali doveva tenere un linguaggio più alto. Aveva tentato verso la fine della
sua vita di avvicinarsi anche a Croce, e non vi riuscì, e so che ciò aveva
sofferto.
Le critiche, come sai, da qualunque
parte furono altamente favorevoli ai suoi scritti e a me sembra anche
indicativo del suo valore il fatto che egli sia riuscito ad imporsi
all'attenzione generale con pochi scritti editi, e soprattutto vivendo in una
cittadina della nostra terra, dalla quale non è facile ottenere riconoscimento
o risonanza, fuori.
La liberazione dell'Italia
meridionale portò anche al cambiamento della posizione di mio padre e,
occasionalmente per questo, la vita di relazione di mio fratello divenne, sia
per riflesso e sia perché egli non era stato mai fascista, più ampia e anche
più intensa la sua attività. Fu così che venne a trovarsi Presidente dell'Orfanotrofio
di Catanzaro, carica che egli accettò per ubbidienza e che gli diede grandi
dispiaceri, perché, avendo di mira egli solamente il miglioramento delle
condizioni di vita dei bambini, cercò di superare, con prudenza ma con
fermezza, gli ostacoli che gli si frapponevano da parte degli organi
amministrativi, strettamente burocratici. Si potrebbe forse ricordare a
proposito come egli si sia opposto alla intransigenza di alcune suore, le quali
a quei legami burocratici dimostrarono di volersi attenere rigorosamente, non
animate certo da spirito di cristianità. Mentre vi erano ingenti quantità di
roba inutile e mancava assolutamente il pane e la farina, mio fratello,
preoccupatissimo della salute dei piccoli, propose che quella roba, in parte,
fosse barattata, per superare le contingenze del momento. E gli si fece una
lotta sorda, alla quale Nino rispose con la prudenza del caso, ma con energia.
Quando la situazione si chiarì, con ogni sua soddisfazione (se in cerca di
soddisfazione si può pensare che egli mai andasse!) lasciò l'incarico, tenuto
per qualche anno. Molti ricordano quell'amministrazione di saggezza e di bontà,
assolutamente disinteressata, specialmente quei bambini che oggi sono giovani e
che avranno nella vita il ricordo del suo esempio luminoso.
Per la prima volta prende contatto
con un più ampio pubblico e sono memorabili le conferenze che egli tenne in
Catanzaro su problemi religiosi di alta filosofia, ma chiari a tutti (anche
perché era un oratore semplice e spontaneo). Queste conferenze furono
sull'esempio di quelle che si tengono all'Università Gregoriana, da padre
Toccafondi e da altri, e che tu certamente conosci. Esse lo rivelarono alla
popolazione che cominciò certamente a riflettere su quello strano individuo
quasi ignoto nella sua città, dove era sempre vissuto, e ciò malgrado
appartenesse a famiglia certamente in vista per la figura di mio padre. Ebbe
inviti numerosi per fuori Catanzaro.
Altra attività fu quella della
fondazione del circolo Novum studium,
nel quale lavorò molto, raccogliendo fondi, organizzando e che doveva essere un
organo-coordinazione di tutte le forze meridionali e specialmente calabresi nel
campo del pensiero religioso. Ho, (ma a Catanzaro), una sua dichiarazione di
volontà, naturalmente personalissima, nella quale si traccia un programma del
Circolo nel quale egli avrebbe dovuto essere tutto, ma voleva figurare il meno
che fosse possibile, fino al momento in cui, quando l'istituzione fosse
concretizzata, avrebbe lasciato tutto in mano di altri. Con questi proponimenti
egli voleva vincere gli eventuali pericoli della vanità, dell'orgoglio ecc.
Quella pagina intima penso che meriti un giorno di essere pubblicata.
Tu sai certamente della sua
attività politica più che io non sappia, perché al tempo della liberazione della
Calabria io ero a Roma e perché politicamente io ho avuto un indirizzo diverso
da mio fratello, al quale mi univa soprattutto l'affinità spirituale. Sai
pertanto come egli, alieno da ogni attività politica, si sia adoperato, subito
dopo la liberazione, a costituire l’A.C. nella provincia, e ne fu il capo e
l’attivo e prudente organizzatore. Poi quando egli, se fosse stato animato da
altri intendimenti, avrebbe potuto raccogliere il frutto del suo lavoro con
altre cariche ed incarichi, lasciò in
mano di altri amici l'organizzazione e legittimamente essi ebbero il
riconoscimento di quanto era stato fatto e facevano, trasferendolo nel campo
politico.
Sai che sia il 1946 e sia il 1948
gli fu offerta reiteratamente la candidatura a deputato o senatore e non vi è
dubbio che egli sarebbe riuscito. La sua rinunzia dispiacque assai a tutti i
religiosi della regione, che lo avrebbero sorretto certamente con tutte le
forze e senza divisione. Ma egli pensò
che altra dovesse essere la sua attività e che non dovesse essere distratto
dalle cose del mondo, nelle quali sentiva per sé un pericolo. Limitò perciò
ogni altra attività esteriore e tornò alle sue passeggiate solitarie
(soprattutto il Cimitero e Pontegrande furono le sue mete preferite), la sua
missione nella San Vincenzo De’ Paoli, nell’aiuto verso i derelitti e i
sofferenti, negli studi preferiti, nell’affermazione del Circolo ecc.
Un ricordo speciale è quello che
riguarda la vecchia mamma che fin dal 1942 era stata colpita da malattia che,
se non l’aveva immobilizzata, l'aveva resa inutile alla vecchia casa. Fu questa
una ragione per la quale mio fratello non volle mai allontanarsi da Catanzaro,
anche quando sarebbe stato facile per lui ottenere incarichi universitari ed
altro. La curò, con mio padre, nel modo più amorevole e continuo, tenendole
compagnia, seduto accanto a lei, per lunghe ore, in silenzio o cercando di
distrarla per le manie che il male comportava. Povera mamma, che quando poi
egli dovette stare a letto per qualche mese ed ella non lo vide, sentì nel
fondo della sua coscienza obnubilata che c’era qualche cosa di grave nella
casa; si alzò dalla sua poltrona, pochi giorni prima che morisse, lo cercò
nella grande casa senza essere osservata nell'agitazione del momento, e lo vide
nello studio di mio padre ove egli era stato trasportato, lo guardò e lo
riconobbe. Fu la sola volta che delle lacrime scesero sul volto di Nino e
dolcemente pregò che la mamma fosse allontanata. Ella morì, come sai,
venticinque giorni dopo di lui, lasciando nella casa mio padre, i cui
sentimenti tu conoscevi e che sopravvisse per sedici mesi e lasciando la mia
povera sorella nubile. Ora la grande casa ospitale (per il bene fatto da mio
padre senza distinzione e fatto da mio fratello; oh! la fila dei poveri all'ora
del pranzo cui egli provvedeva e per il quale fatto veniva talvolta richiamato
per eccessiva generosità ed egli taceva) è chiusa per sempre.
Così continuò a vivere sempre
sereno, sempre buono con tutti ma nessuno, come già ti ho detto, sapeva della
sua intimità. Ho tanti ricordi che mi spiegano ora tante cose. Ma non è sempre
così per coloro che vivono santamente, umiliandosi? Ricordo una notte di capodanno
credo nel 1948: io ero andato in Calabria per stare qualche giorno in famiglia.
Si stabilì di attendere la mezzanotte, come si suole tra parenti. Egli godette
suprememente sempre di stare tra i suoi a sentire e a discorrere. Era forse
questa una delle maggiori felicità. Leggendo poi il diario si comprende perché
egli volesse sacrificarsi anche in questo e si proponeva di andare a letto ad
una data ora: così come effettivamente faceva inspiegabilmente per tutti.
Quella notte di capodanno, a una certa ora disse che sarebbe andato a letto. Si
allontanò dai suoi, che gli chiedevano il perché, soprattutto dai suoi piccoli
nipoti che tanto amava e con i quali si tratteneva lungamente, tornando sempre
fanciullo tra i fanciulli. Ma non era egli rimasto sempre un fanciullo?
Ora ti dirò brevemente della
suprema affermazione della sua personalità dinanzi alla morte. Invero egli non
era stato mai attaccato alla vita, e tuttavia per quanto doveva compiere, e
sentiva di poterlo fare, per le condizioni della sua famiglia (Mia madre! Mio
padre! Mia sorella! Io stesso così bisognevole spesso di conforto e di
consiglio, pur vivendo a Roma e svolgendo ampia attività!) voleva vivere
ancora. Ma da tempo era sofferente. Il difetto cardiaco si manifestava nella
sua imponenza. Non volle mai farsi visitare dai medici illustri. Le sue
sofferenze, come sempre in questa infermità, dovettero essere grandi! Certo la
sua attività di scrittore si interruppe dal 1948, ma mi risulta che continuò a
fare del bene, preparandosi alla morte. Fu nel giugno del 1950 che ebbe
l'ultima crisi, lunga e fatale ed io non te ne darò i particolari come quadro
clinico. Andò nella sua Pontegrande, che tanto amava, nella speranza di
riacquistare le forze (a Pontegrande vi è ora un istituto di bambini
tracomatosi, che porta il suo nome, avendo ceduto io il luogo alla provincia,
per molto poco, e come estremo omaggio alla sua memoria e nel conforto del
pensiero che quei posti saranno allietati almeno dal sorriso dei bambini) e poi
tornò nella nostra casa. Rimasi a letto per oltre un mese. La famiglia si
chiuse, quasi senza contatto col mondo, intorno a quel corpo che soffriva.
Sappi che mio padre, ad 80 anni ma ancora forte, come tu lo conoscevi, non
conobbe per tutto quel tempo il letto e solo per qualche mezz'ora si adagiava,
di notte, nella stanza ove egli era. Ricordo il torace, l’addome, che si
sollevavano e sussultavano nello spasimo; ricordo i suoi grandi occhi sereni,
la sua bocca riarsa anche perché non poteva bere, ricordo il suo sudore
profuso, ricordo lo sforzo per sollevare di poco anche un braccio, ricordo la
sua posizione sempre supina che invano tentava di modificare e ricordiamo che
non una parola o un lamento uscì mai dalle sue labbra. Quando ci sedevamo
vicino a lui e portavamo le nostre mani vicine alle sue, ci carezzava. Un
sorriso sfiorava qualche volta (ed era anche uno sforzo) le sue labbra se
qualcuno, estraneo alla famiglia, a lui caro (e tanto più caro quanto più
umile) si avvicinava. Gli era piaciuto sempre declamare poesie nella sua vita,
accompagnando le parole con il gesto largo delle braccia, e anche durante
quella malattia, gli tornò sulla bocca qualche verso. Ricordo quei versi che
egli ripeté dolcemente: “Il carro oltre passò d'erbe ripieno - di fiori
empiendo la silvestre via - possa fare anche tu come quel fieno - lasciar buona
memoria, anima mia!”.
Si vedeva che spesso era raccolto
nella preghiera. Spesso lo si vide faticosamente segnarsi nel segno della
croce. Le poche volte che parlò brevemente parlò di Santa Maria Goretti. Disse
ad una sorella che il paradiso è molto bello e simili cose a me che mi
avvicinavo a lui, verso le ore del mattino, disse: “Ancora tre o quattro ore di
battaglia” e morì alle 12:30 circa, quando nessuno lo prevedeva, con un'agonia
di forse un quarto d'ora di durata.
Qualche giorno prima che morisse mi
aveva detto che non aveva avuto tempo di mettere a posto le sue carte, che
bisognava bruciare alcune e a mio padre raccomandò che fossero restituite
alcune piccole somme versate da alcuni oblatori per il Circolo e che fossero
date le lire 5000 che lasciava alla donna di servizio.
Ti aggiungerò qualche altra cosa,
oltre già detto, su quanto ha lasciato scritto edito ed inedito.
La Critica delle metafisiche si esaurì rapidamente e ne restano a me
alcune copie, ma mio fratello pensava che quest'opera, alla quale aveva
lavorato e alla quale teneva, come espressione del suo pensiero, dovesse essere
solamente una parte del lavoro che stava preparando. Trovo nelle sue carte un
quadro dell'opera nuova: per quanto riguarda la filosofia occidentale già
trattata, egli avrebbe ridotto il capitolo sull’ Hegel e avrebbe aggiunto
qualche cosa sugli altri e credo che avrebbe dato titoli diversi discostandosi
dalle apparenze tomistiche. Nella nuova esposizione sarebbe risultato il suo pensiero
che, nella prima edizione, è meno appariscente perché vi si sovrappone la
critica ad ogni singolo pensatore: tuttavia come era nell’intenzione
dell'autore la confutazione non viene fatta singolarmente ma in quanto in
ognuno dei più grandi si riassumono gli errori. La confutazione di questi
errori, sul piano generale del pensiero di tutti tempi e di tutti i popoli e il
superamento di essi errori, rappresenta lo sforzo di mio fratello e la sua
originalità. La nuova opera sarebbe stata divisa, come appare dal materiale
lasciato (alcune molto sviluppate) in varie parti: “La ricerca di Dio nei
secoli”, nella quale sarebbe stato trattato lo svolgersi del sentimento e del
pensiero, con la dimostrazione che gli errori sono sempre gli stessi
(idealismo, realismo ecc.); “Filosofia cinese” e in genere dell'estremo oriente
(parte più sviluppata, con raccolta di materiale impressionante che riguarda i
pensatori di ogni tempo) così come venne accennata nella Critica pubblicata e
alla quale venne riconosciuta la genialità dell'impostazione; “Filosofia
greca”; “Filosofia cristiana”; “Filosofia occidentale” con un capitolo di
particolare rilievo sull'evoluzionismo; “Sintesi e ricostruzione”.
Credo che sia necessario che tu dia
uno sguardo rapidissimo sulla mole di questi scritti, onde ne possa avere
l'impressione immediata dell'importanza di essi e basterà poi che tu ti
soffermi su qualche pagina, specie nella filosofia orientale. Mi sembra che
così possa risultare, per il pensiero di mio fratello, l'evidente originalità
di esso, in quanto egli, mi sembra, fermissimo nella fede come nella concezione
cattolica, quale si sviluppò nei secoli; supera ogni forma neoscolastica, della
quale si è per lui accennato: è sempre la forma che si sovrappone alla
sostanza. Prova di ciò sono le pubblicazioni sulla Filosofia di Croce e quella sull'Esistenzialismo e l'articolo sull'Asia,
ecc. dalle quali appare il processo formativo di natura essenzialmente
psicologica del pensiero di Nino e della visione della vita che ebbe. Così si
spiega anche come egli poté essere a conoscenza dei problemi e ti accenno a
parte di essi, per dartene un'impressione, fugacissima che ti potrà servire.
Ti ho detto che sono numerose le
lettere scritte, dopo lunga elaborazione (così che si tratta di veri scritti)
ad amici, a discepoli, a pensatori miscredenti. Alcune di esse furono
pubblicate, come quella diretta a Carmelo Ottaviano, sull'opera di questi è in
genere sul realismo-idealismo. Scrisse su Bergson, su arte e moralità, su
causalità e finalità dei fenomeni della natura, sulla psicanalisi, sulla
concezione filosofica del comunismo, sullo storicismo come religione, su
Confucio e Laotze, sul buddismo in Cina, sulla Filosofia della massoneria, su
Boyef, su Guido Gozzano, su Foscolo, su Renzi, su D'Annunzio, su Carducci, su
Tagore, su Balzac, su Don Chisciotte, su De Santis, su Marx ecc. su questi
argomenti e autori vi sono scritti pubblicati ed altri inediti.
Scrisse su moltissime riviste,
quali la “Rivista di filosofia
neoscolastica”, su “Studium”, su
“Asiatica”, ecc. e su molti giornali.
Tu hai copia della Filosofia delle rovine, nella quale c’è
gran parte della sua anima anche se, io penso, per qualche parte descrittiva è
superata dal tempo.
Eccomi, caro Vito, giunto, mi pare
al termine di questa mia doverosa fatica, doverosa anche verso di te. Non so
che cosa io abbia scritto: rileggerò e rivedrò e manderò così come ho dettato.
Penso ti possa servire e questa è la mia sola soddisfazione. Io non sono un
filosofo, né uno scrittore di professione, e ho seguito l'impulso del mio
cuore, come sono solito fare in tutte le cose della mia vita. Sulla lapide di
mio fratello, che io ho dettato, c’è anche scritto che “I posteri ne
ricorderanno la santità della vita e la forza dell'ingegno”. Sono stato
ingannato da mio affetto. Certo egli vive e vivrà nel cuore di chi lo conobbe e
certo nella luce dell'altra vita.
Ci siamo conosciuti poco, ci siamo
visti una sola volta, ma tu comprendi che io non posso non volerti bene come se
ti avessi conosciuto da molti anni. Ti ringrazio e ti abbraccio.
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