mercoledì 1 maggio 2013

7. ANTONIO LOMBARDI E TERESA MUSSARI e alcuni scritti di "Filosofie delle rovine"

Teresa Mussari




(Note tratte dalle Agende di Antonio Lombardi)

·         15 ottobre 1930: giorno di S. Teresa. Sono stato al campo(santo) e ho visto tua madre (la madre di Teresa). Ho cercato di pensare solo a te. Non ho aperto libro, né ho avuto altra occupazione mentale.

·         22 ottobre 1930: Se sarà buon tempo al campo(santo).

·         3 novembre 1930: Giorni dei morti. Essere sempre d’umor dolce… Stato al campo(santo).

·         10 aprile 1931: Alle 10 sono andato al campo(santo). Al ritorno sono stato a casa della madre di Teresa.

·         16 aprile 1931: ieri sera ho saputo per telefono da Annetta che lo zio Gaetano si era sparato all'orecchio, e che permaneva in uno stato grave e invariato da circa 24 ore (poiché s’era sparato la sera precedente). Io lo dissi a papà, che stabilì di partire per Mileto stamane, come infatti è partito. Ma ieri sera, quando andai a coricarmi, verso le 11, guardando il ritratto di Teresa, trovai nel suo aspetto qualche cosa, come se volesse dirmi che stessi di buon animo, poiché lo stato dello zio Gaetano non era grave. Io sapevo bene come Teresa mi significasse in tal modo tante cose, e come mi confortasse. Infatti stamane dal mio cugino Peppino Bruni, venuto apposta da Mileto, ho saputo che il proiettile non era penetrato in cavità, ch'era cosa ben poco grave.

Teresa Mussari con la madre  e il fratello
·         20 aprile 1931: Domani, verso le 11, andare dalla madre di Teresa.

·         10 maggio 1931: - Ritrovate le immagini donatemi da Teresa.

·         11 maggio 1931: verso le 10 al campo(santo); visita alla madre di Teresa.

·         20 giugno 1931: questo giorno è privo di te, o Teresa, come fu privo di te il giorno della tua morte. Ond’è anche come se tu fossi morta oggi.

·         21 dicembre 1931: Questa notte ho sognato di Teresa: eravamo nello studio di papà; mi pareva che fossimo sposati: passeggiavamo con la sua mano nella mia; mi disse: v., ed io la baciai.

·         22 dicembre 1931: Campo(santo)

·         5 maggio 1932: Dio, quanto tempo vano, dopo la tua morte, Teresa! Voglia, Maria, che così più non sia.

·         8 maggio 1932: Quanto tempo perso dopo la tua morte, o Teresa, e quanto miseramente! Fa, o mio Dio, che più non sia così.

·         15 maggio 1932: Mi propongo più che mai d’essere osservantissimo di tutto ciò che ho promesso. Per ora la promessa va fino a tutto giugno. Lo prometto a te, Teresa. Teresa!

·         20 maggio 1932: Questa data del 20 mi ricorda che il 20 di agosto tu partivi: il 20 di agosto del 1928.Nel maggio del 1928 io scrivevo qui, su questo stesso parapetto della terrazza, ma ancora non s'era aperto a me l'incanto della tua grazia, Teresa. Poiché io avevo sì un desiderio verso di te, che mi si era destato da quando, io ammalato, mi avevi mandato quelle figurine sante e da quando avevo saputo il dolore che tu (e chi sa mai perché, se appena mi conoscevi) avevi avuto per la mia malattia e specialmente nei giorni in cui si credette ch’io dovevo morire: ma ancora non avevo conosciuto l'incanto della tua grazia, di quella grazia celeste che il Signore ti voleva dare, giacché era in te la grazia del Signore. Ora sono quasi le ore nove: questa mattinata ho avuto, da parte mia, frivole conversazioni e stanchezza. Ma sia tutto ciò sotto fin d'ora in grazia di Maria. Questa volta ti prometto che manterrò davvero, Teresa. Per ora fino a tutto giugno massima serietà in tutto, con gli zii, e con quegli stessi della mia famiglia, perché io non vorrei che pensasse alcuno ch’io ti avessi dimenticato.

·         26 maggio 1932: Festa del Corpus Domini. Proponimento d'assoluta intransigenza per questi pochi giorni del mese di maggio e per il mese di giugno, per adesso. Domani se mi sentirò in forze e se sarà buon tempo, andare al campo(santo).

·         6 giugno 1932: Lunedì il campo(santo). 


·         14 giugno 1932: Ieri ho incontrato la nonna di Teresa. Ho parlato un po' a lungo con lei, sulla strada. Era da tempo che desideravo di parlare e penso che S. Antonio mi abbia fatto la grazia per il mio giorno. Stamane sono stato al campo(santo). Mi sono fermato per circa tre quarti d'ora dinanzi alla tomba sua: v’era una bella luce. Vorrei aver sempre il pensiero della realtà della morte! E affrettarmi ormai alla meta, poiché è veramente da molto tempo che non faccio più nulla. Domani, se così vuole Iddio, comincerò senz’altro. Andrà vana anch’essa questa promessa? Oh! Mio Dio, quante ragioni ho d’affrettarmi!

·         6 dicembre 1934: San Nicola. Ricordo: nostro salotto, tra gli altri D. Gina. Mi disse di Teresa che ormai era finita. Domando a Costanza notizie: non sa niente di nuovo. Salgo sulla terrazzina per vedere la sua finestra: la trovo chiusa. Esco con l'intenzione di andare a casa di Teresa, in giro per Pratica. Visto le finestre illuminate, torno a casa mia e guardando dalla terrazzina nella stanza di Teresa, tutto mi si mostra al solito.
·         7 dicembre 1934: Penso di tornare nuovamente a visitarla, e ritornare come una volta, prima del prossimo Natale. Le mando un'immagine della Madonna in una busta, sulla quale scrissi a macchina il suo indirizzo col nome di Mussari Teresa. Come seppi poi dalla mamma sua, ricevette l'immagine il giorno 8, dell'Immacolata, e fu allegra, e si fece forza per mangiare: volle prendere due uova. Nei giorni seguenti aspettavo, senza ragione, ch'ella mi rimandasse per Annunziata qualche lettera o mi mandasse a dire di tornare a casa sua. Seppi poi dalla mamma e dalla nonna sua che più volte in quei giorni espresse il desiderio di vedermi e che mi chiamasse. In quei giorni i muratori lavoravano in  casa  di Scalamogna. Io  avevo il pretesto di salire sulla terrazzina, per farmi vedere da lei, e farla contenta, perché sapevo che sarebbe stata contenta di vedermi. Mi disse poi la mamma che guardava sempre dalla parte della terrazza. Mi pare che in questi giorni ci sia stata da parte mia colpa, perché avrei forse dovuto vincere ogni cosa e andare a trovarla. Ma non credevo che fosse imminente la morte. In quei giorni scrivevo anche a macchina; ma lasciavo spesso per andare sulla terrazzina e passeggiare e farmi vedere. La sera, al buio, mi mettevo anche sulla terrazzina e accendevo spesso il sigaro… Per farle comprendere ch’ero lì. M’avrà visto? È questo fino al 13 dicembre, giorno compleanno del mio 31° anniversario.

·         14 dicembre 1934: ricordo del 14 dicembre 1929. Sta per finire il lavoro dei muratori (pare ultimo giorno). Scala sulla terrazzina. Circa le otto di mattina: prendo la risoluzione di guardare col binocolo nella sua stanza; cerco di nascondermi un po' dietro la scala. Guardo, Teresa dei gesti, che io, non so come, non compresi che dopo, e scappo, non volendo che ella si dispiacesse della mia presenza. Invece quei gesti, che compresi il giorno dopo, erano chiarissimi: Teresa mi chiamava e m’invitava con tutte due le mani. Ed io non compresi! Sarei andato subito e avremmo trascorse insieme le ultime ore. Ma Dio non volle. Verso le tre del pomeriggio mi pare d'aver guardato nella sua stanza, e, mi pare, con la volontà di andare da lei, ma la vista di familiari me ne distolse. Mi pare anche, molto probabilmente, che aspettavo che lei mi vedesse per farmi intendere la sua volontà, ma mi parve non guardare dalla mia parte. Neanche allora Dio volle che io andassi. Verso il calar del sole, forse le quattro e un quarto, e forse rientrando in casa dalla terrazzina, apprendo da Costanza che Teresa era gravissima e che i parenti si trovavano tutti in casa sua. Ritorno sulla terrazzina per guardare col binocolo. Poi vado a vestirmi per andare da Teresa.
        (lirica)
Inghirlandata di memorie spente,
muta nel sole, bianca nella pace,
guardo la tomba tua l’ore silenti
cui un giorno rise ed olezzò vivace
devoto serto di purpuree rose
che, inaridite, nell’oblio si pose.

·         14 dicembre 1936 : 7° anniversario della morte di Teresa! A questo anniversario più non vive la madre, ma è anzi probabile, gode in cielo. O Gesù, in te solo ormai confido. Dammi tu forza, e per amarti.

·         8 marzo 1937: Il Rosario dinanzi al SS. per l’anima di Teresa.

·         13 marzo 1937: Fatto dire una Messa per Teresa.

·         14 dicembre 1949: Ricordo. Venti anni passati (dalla morte di Teresa).


Da "Filosofie delle rovine", 

MISTICISMO CRISTIANO
(Parte II, cap. V, 5) :


Nel misticismo cristiano l'anima ascetica, che si stima veramente nulla, e del suo nulla si compiace, trova il suo appoggio in Dio, realtà sostanziale. Invero è solo a quest'anima, resa veramente ignuda, che Dio si rivela; ed essa che giammai aveva appreso la gioia, che anche nei più dolci amori aveva provato il disinganno, resta meravigliata e stupita dinanzi all'arcana felicità che l’inonda. Siccome l'anima non è pienamente felice che nell'amore, poiché solo nell'amore è libera, così solo all'anima ascetica, all'anima rinunziataria, aperta, nella sua innocenza, a tutto l'amore, fu non pure promessa, ma data la beatitudine.
Anche il dolore è amato nell'ebbrezza dell'amore, giacché l'anima felice si stringe volentieri al dolore, per offrirsi in olocausto. Non ama ancora abbastanza, chi non elegge per l'amore il dolore.
Nella beatifica visione, quando l'anima non ritiene più nulla di sé, che non sia un'offerta a Dio, nel che è quell’annegamento di cui dicono i mistici, l'amore non è più congiunto col dolore, ove si eccettui una specie di trepidazione nell'ebbrezza. Perciò vi sono state anime amanti, cui parve più grato soffrire con Dio sulla terra, che godere con Dio nei cieli. Ma devesi considerare che, sebbene nella beatitudine celeste non si dia dolore, nondimeno quella beatitudine è piena, perché piena è l'offerta. Or il dolore serve sopra la terra perché l'anima, donandolo a Dio, gli faccia intero il dono di se stessa; ma là dove la volontà è già tutta donata, non è più necessario il dolore. Lo spogliamento e la rinunzia dell'anima sono interi, sì che l'anima ha la medesima tenerezza ed ebbrezza, come se offrisse già con l’amore tutto il dolore.

POPOLI
(Parte III, cap. I, 2.3)
  

In un mondo nato per la libertà, e perché l'idea di Dio si svelasse, niente è più melanconico che vedere gli uomini smarriti nelle tenebre delle loro passioni, tradire se stessi e quell'idea.


Noi lamentiamo a ragione le guerre, come le lamenta il cuore di Dio; noi lamentiamo gli odi fraterni e i delitti dei popoli; ma nulla noi abbiamo veramente a temere, se pure siam saldi con l'animo. Anche chi vive nell'oscuramento e nell'oppressione, sa bene che a ogni volontà dritta, innocente, è aperta, di fronte al male, fatta più bella nel risalto, la visione di un bene senza confini. Perciò avviene in tutte le età, nelle civili come nelle barbare, che l'umanità non è mai del tutto spenta, ed essa si rivela mirabilmente in quegli uomini straordinari che appariscono in ogni tempo e in ogni luogo.


Se non sapessimo che i fili della storia, inestricabili all'uomo, sono nelle mani di Dio, nulla potremmo noi intendere del nostro cammino, né essa avrebbe più significato alcuno.


Questa vita di miseria, di abiezione, di dolore, non la poterono redimere coloro che, chiusi nella propria tristezza, altro non seppero che descriverla, né sapranno redimerla le leggi e le provvidenze sociali. Solo l'amore si piega sull’abiezione dell'uomo e vi porta il suo balsamo, scende nelle bassure della società e vi porta la redenzione della speranza. E l'uomo apprende talvolta che può valere più il suo dolore che non le delizie del mondo: queste chiudono lo spirito entro angusti confini, quello reca l'ansia o l’amore dell'infinito. Infine ogni dolore va benedetto, per chi contempli i misteri creati e le bellezze della creatura universa.

IL TEMPO
(Parte III, cap. IV, 2)


Solo i disperati dell'avvenire rivolgono l'animo al passato…

Il nostro amore della vita non è un semplice attaccamento all'esistenza. Invero noi non vogliamo mancare alla vita, per non mancare all'amore. Le creature del nostro amore e del nostro dolore noi vorremmo poterle amare in eterno; offrire noi stessi a quelli che ci diedero il loro incanto; riscattare dal dolore tutte le creature sofferenti.

IL NATALE
(Parte III, cap. V, 1-4)


L'innocenza, al pari dell'umiltà, penetra i segreti del creato: niente le impedisce di sentire il legame che è tra la terra e il cielo. L'innocenza e la pace, quando prima furono nell'uomo, rivelarono a lui la primogenita bellezza. La colpa, che è il frastuono delle passioni, rompe quell'armonia e quella pace.

La nascita di Gesù appare ben umile cosa. Egli nasce povero, in una stalla, con le infermità della carne. Eppure la carne ha una sua propria nobiltà. Si corrompe, è vero, più di ogni altro elemento, ma per ciò stesso lo splendore della vita si congiunge naturalmente in lei. Essa non ha la rigidità della pietra, né la fluidità e informità dell'acqua; è molle ed elastica, sì che la vita vi si raccoglie e trasparisce nella sua mobilità.

La sensibilità e l'idea si congiungono nella carne, e questa partecipa dello sconfinato dell’anima. Ovunque si stende il pensiero dell'uomo, ivi si stende anche la sua carne: si adegua con la luce a innumerabili aspetti; si confonde con le risonanze e i colori della natura; è vaga e arcana come il riflesso della bellezza. L'occhio che, amando, la contempla, non vede in lei il breve spazio che occupa, ma il fascino che la traveste. La mente di chi, nella volta della Cappella Sistina, ritrasse le sembianze di Adamo, e scolpì nel marmo il Mosé, tremò d'amore dinanzi alla dignità della figura umana. Forse che con Adamo apparve la miseria della carne? Ma cos'era la carne in Adamo, se non mezzo diafano dello spirito? Il limo della terra divenne, al soffio di Dio, raggio e sorriso del mondo. O novità della creatura intellettuale corporea!

V’è tuttavia una carne che non ha spazio, carne rinserrata e avvilita, che manda il suo lezzo, come fiore marcito di cimitero. E’ la carne che non ha più spirito, che non ha maggiori confini della sua putredine, dei suoi mesti o foschi piaceri; dove non è più l'amore, ma solo l'invischiamento del senso; dove si spegne la stessa luce della bellezza corporea. Non è più carne, ma carname.

Nell'amor vero che nasce tra uomo e donna, non è la carne, ma la carne trasumanata che si ama. È il sentimento della spiritualità della carne, ciò che incanta i giovani cuori. L'attrattiva dei sessi viene sublimata in questo incanto. L'unione fisica si confonde con quella spirituale.

Nell'amore del tutto spirituale, la materialità della carne viene ancor più trascesa, fino a divenire tutta splendore, come Dante la raffigurò nel Paradiso.

Anche il dolore della carne è immenso come l'amore. Ovunque è il palpito della nostra vita mortale, il dolore e l'amore sono insieme congiunti. … Su tutte le plaghe della terra, che il dolore della carne commosse; ovunque uomini desiderarono dissolversi e ascendere in Dio: ivi l'amore della bellezza s’intrecciò col dolore.
Ogni vita che emerge e s'affaccia sul mare dell'essere, riceve, anche nel fuggevole istante, il segno e il sigillo dell’afflato divino. Perciò la vita di tutte le creature mortali vale il dolore e la morte che patiscono.
 
IL PENSIERO
(Parte III, cap. VI, 4)
 

L'opera dell'uomo è certo ben povera cosa al confronto della natura, opera di Dio. Pure di tutte le cose della natura, l'uomo è la più eccellente, sì che la natura sembra risplendere di più grata luce ove sosta il ricordo e vive la traccia dell’uomo.

LE NOTTI

(Parte III, cap. VII, 1-2)
 

Come son belle le tue notti, o Signore!
Nelle estive notti lunari, all'ora tarda dei silenzi, tra la pace che pare eterna, sale e ride come una mite speranza nei cuori. La volta dei cieli non è più straniera, ma familiare, amica; l'anima vi si adagia come se quella fosse la sua sede.
Letizia dolce, nelle città marinare, tra il canto dei barcaioli, quando la mente ricrea il senso dell'amor primo e della prima vita, onde tutto è commosso il mondo.
V'è però un altro aspetto delle notti. Vi sono notti sconfortate, e pur solenni all'umano orgoglio, quando il tutto appare senza ragione: vanità immensa. O disperate notti dai silenzi ignudi e in ogni parte cupe, nella stessa bellezza vane, notti della mia adolescenza, dove siete? E avviene la sublimazione di quella vanità.
Il vero sole è Dio.

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